sabato 7 gennaio 2012

Di notte i fiori hanno tutti lo stesso colore.

Fugge tutto ciò che non siamo in grado di afferrare. L'esistenza in bilico, su una gamba a bordo di un piano inclinato, a cavallo di mille piani inclinati intersecati dal caso. E tutto scivola e scavalca orizzonti e segmenti, frazioni di esistenze, stracci di dolore che restano tra le mani a chiederti "e adesso...". Scivola come mercurio tutto ciò che non siamo in grado di fermare, e va via. E non sempre esiste un fosso che raccolga i residui che desidereremmo ritrovare un giorno, come una vecchia cartolina scivolata dietro la libreria a muro di un appartamento bombardato dai caccia americani, lenzuola e coperte trascinate dai cani. Adesivi sbiaditi al sole, parole che fuggono, parole. E suoni che si perdono schivando l'eco di ogni frangente, per non sentire, non sentire niente. Cosa ritroveremo nel silenzio delle sere che seguono pomeriggi assolati, il dolore della cicala che si perde, le lucciole che si fanno lontane a lasciarci nel buio di appuntamenti mancati, e i solchi che segnano i prati. Di notte i fiori hanno tutti lo stesso colore, per permetterci di sentire ciò che il sole ammutolisce, per permetterci di scorgere, tra le pieghe cobalto le stelle, quei fori sulla tenda di guardone che fruga nel nostro temere gli istanti, che fuggono. Come fuggono i colori nella sera, in silenzio incontro alla notte, alla notte più nera.

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martedì 2 agosto 2011

Io fuori.

Mi piace pensare che tutto stia scivolando su binari lucidi, e una monetina adagiata per vedere l'effetto che fa, per capire se il treno possa deragliare su una monetina. E no, non deraglia. E la monetina è diventata ovale, e non si può spendere più. E la monetina potrebbe bloccare irreparabilmente il distributore di snack. Irreparabilmente o quantomeno sin quando qualcuno andrà a chiamare l'omino dei distributori di snack, che ritroverà la monetina ma non la potrà spendere, e la andrà a gettare nel cassettino assieme a quelle buone, rischiando così di inceppare il contamonetine del capo, oppure la infilerà nel distributore di snack della concorrenza. Dall'ultimo post troppi kilometri di binario sono scivolati senza che potessi tirare il freno di emergenza, senza che potessi rallentare questa corsa folle che mi lascia senza fiato. Solo un post, solo un post avrei voluto scrivere almeno, e avrebbe riguardato il sapore della merendina kinder brioss estratta dal trolley blu durante le prove scritte dell'esame d'avvocato. Pare non ci sia stato altro nella mia vita in questi mesi, solo il sapore di quella merendina. E invece no, invece tutto è scappato così velocemente da fare paura, e non oso pensare cosa sarà successo tra oggi e quando scriverò il prossimo post, dovessi avere ancora la possibilità di farlo. "Passerà anche questa stazione senza far male, passerà questa pioggia sottile come passa il dolore", ma dove è finito il mio cuore? Mi pare tutto così frazionato, così spalmabile sui giorni, e sulle ore dei giorni sin quando il coltello sarà pulito, e niente più ci sarà da spalmare. Come un infarto infinito, insomma. Mi piace pensare che non tutte le stazioni siano quelle di paese, che il treno passa e non lo vedi più. Mi piace pensare che esista ogni tanto una Roma Termini nella vita, che il treno si ferma per un po', e per uscire non può andare avanti, ma deve fare marcia indietro per un po', anche senza specchietti retrovisori. I passeri fuori da questa finestra, i passeri, l'ulivo e il sole che si specchia sulle foglie. Ed io qui, questa scrivania grande, Hotel Supramonte in loop. Io nella stanza, ma per l'ulivo, il passero e il sole, io fuori.

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venerdì 10 dicembre 2010

Precipitando sino a risalire qualcosa.

Io non so se avete mai sentito il rumore di una goccia che cade. No, non il rumore della goccia che arriva nell'acqua, né il rumore della goccia che batte sul vetro o sulla carrozzeria. Io mi riferisco esattamente al rumore della caduta, che toglie il respiro fino a farmi soffocare dell'attesa di un impatto. Stavo leggendo un parere sul 2051 c.c. poco fa, quando ho deciso che il mal di testa si era fatto un po' troppo invadente, e troppo tardi si era fatto per un sano sorso di novalgina. E allora ho ripercorso la mia vita, dall'ottobre circa del 2005 ad oggi, grossomodo la vita dell'iBook che ho fedele sotto le dita. Sto ancora precipitando, ma sento che un grosso, stupendo cerchio sta per chiudersi. Avevo dimenticato migliaia di frammenti, schegge di mail, di mms, di post, parvenze di pensieri. E adesso mi sento a un soffio dal vetro, dalla carrozzeria, e sento la necessità di ripercorrere questa vita meravigliosa prima che il cerchio si chiuda e che lo schianto mi inghiotta. Sono tornato indietro al primo post, a quando sentivo il bisogno di dirvi grazie, ed è un bisogno ancora attuale e vivo, nonostante i tempi non siano più quelli di una volta, nonostante per parlare al dott. Azzarà sia necessario tentare una telefonata e sperare che uno dei telefonini sia libero. Quante meteore nella mia vita, e sotto quel cielo sempre più salde le maniglie della mia realtà, tra un po' di focaccia e un cinema sempre più raro. Nonostante tutto, è tutto così bello grazie a molti di voi. E in fondo, cosa è veramente cambiato? A parte i tempi ristretti, a parte la familiarità con uno stress disumano che ci chiude l'anima in un cassetto per giorni, a parte il panico di un cambiamento, a parte tutto, cosa è veramente cambiato di noi? C'è qualcosa che ci ha allontanati davvero? Non ne sono mai stato molto sicuro, ed oggi lo sono ancora meno. Per una volta mi permetto di non temere il futuro, ma di apprezzare al contrario quanto è passato velocemente sulla mia schiena, sotto queste dita. E domani, domani chissà, ma cosa importa, perché se sono arrivato ad oggi, comprendo che oggi non è altro che il domani di ieri, e ce l'ho fatta.
Comincio a temere, o forse a sperare, che il vetro sia ancora lontano, e che questo precipitare possa avere una fine lontana... Grazie amici miei, grazie vita.

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mercoledì 1 dicembre 2010

Caro blog ti (ri)scrivo...

...così mi rifletto un po'. In questa sera di dicembre giallino, con la sabbia del deserto e i venti gradi; con l'umidità che i feltrini delle sedie appiccicano, con le mani che vanno lavate una volta in più. In questa sera così. Così strana. In questa sera a un passo dagli esami che sembravano così lontani, in questa sera da aspiranti professionisti che iniziano comprando più di una risma di carta alla volta e si ritrovano, d'un tratto, titolari di un numerino lungo lungo che non sai cos'è e forse neanche a cosa serva, ma lo vuoi, lo volevi e ora ce l'hai. In questa sera che la mia fidanzatina mi manda un messaggio per dirmi che sta per mangiare, in una cucina lontana e che, come gli esami, a breve mi troverò nella stanza accanto senza accorgermene, in un modo così dolcemente indolore.
Miseria vacca, le lucine alle finestre sono già qui, anche qui dove non c'è la neve, e dove la neve è solo di cotone, o sintetica spray. E il cuore ad intermittenza si scalda di lucina, e ora accende gli affetti, ora i desideri, le aspirazioni. Si accende e mi avvicina, mi mostra un po' tutto; si spegne e tutto scompare avvolto da una nebbia che spaventa perché non ha odore.
È una mano sulla spalla questo stato d'animo. E come ogni mano sulla spalla si compone di due momenti: del momento della spalla e del momento della mano. Perché la spalla può essere distratta o concentrata, desiderosa della carezza o insensibile ad ogni evento; perché la mano può essere quella della fidanzatina, di un padre, di un collega anziano, ma anche del cliente a cui qualche giorno fa hai regalato vent'anni di galera, ed ora è lì in attesa che la sentenza diventi definitiva, ma nel frattempo ha il dolce desiderio di lasciarti spegnere in una pozza di sangue.
Bisogna avere coraggio ad addormentarsi in questa vita; bisogna avere fegato a chiudere gli occhi senza aver messo a posto l'ultimo compitino. E allora, forse, sono tanto coraggioso, e allora, forse, lo sono da sempre.
Da molte settimane amo il punto e virgola. C'é uno psicanalista che me la spiega, questa?

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martedì 28 settembre 2010

Al ristorante con tremilalire.

Io e il mal di testa abbiamo stretto amicizia. Anzi, per come mi sta attaccato, è proprio come se fossimo fidanzati. Sono giorni difficili, il periodo è difficile, addormentarmi è difficile, è difficile svegliarmi. E nel mio amato mal di testa ritrovo il freno a mano della mia esistenza, appena tirato, giusto un filo, e i dischi cominciano a puzzare.
Io non so se la vita è un programma, non so se è in mano a un regista. E anche se lo fosse, il regista non credo potrei essere io. Mi pare invece che siano gli attori a mutare le battute che ho in mente, pare siano gli attori a manipolare la scena, a spostarmi da un angolo all'altro del palco.
Se è vero che abbiamo libertà di scelta, mi sono reso conto di non essere in grado di scegliere. Se invece è qualcun altro a scegliere per me, beh, spero solo abbia fatto bene i conti. Mi pare infatti che questo qualcun altro abbia deciso di andare a mangiare pesce fresco in un ristorante di lusso con tremilalire in tasca. Problemi suoi. Ma, se dovesse lavare piatti in eterno a causa mia, problemi anche miei a quanto pare. Chi vivrà vedrà.

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domenica 16 maggio 2010

Microcredito = Megacefalo.

Quanti soldi ci vogliono per vivere? Oggi mi pare che ci vogliano proprio tutti, tutti quelli che non ho e che credo non avrò ancora per qualche tempo. Eppure l'altro giorno, spinto da una fugace lettura di Wired, ho cliccato Kiva.org e ho potuto apprendere che con una infinitesima parte di quel tutto che non ho e che credo non avrò ancora per qualche tempo, potrei regalare un tutto reale, tangibile e completo ad un uomo come me ma molto più capace di me. Un uomo a cui basterebbero un paio di idioti come me, ma pure meno idioti di me, che decidano di mutuare venticinque inutili dollari in favore di un sogno. Ma non un sogno come i miei, di quelli iperuranici; un sogno a cui bastano quei venticinque inutili dollari per divenire realtà. Realtà vera, che profuma o puzza, di legno o pietra, realtà sulla quale è possibile inciampare, non l'iperuranio.
Ogni volta che mi fermo alla colonnina di carburante io chiedo un pieno di GPL. Un pieno di GPL oggi mi costa la bellezza di ventinove euro. Ogni volta che esco dalla stazione di servizio comincio ad utilizzare quel GPL che in fondo non è che mi porti da qualche parte. Diciamo che ogni volta che esco dalla stazione di servizio comincio a vagare, sperando di riuscire a chiudere qualche lavoretto che mi permetta di pagare di tasca mia il prossimo pieno. E quindi io faccio un pieno, poi esco dalla stazione di sevizio al fine di procacciarmi i ventinove euro che mi possano permettere di rientrare alla stazione di servizio per il prossimo pieno. Diciamo che non mi sento propriamente un genio. E non mi sento un genio soprattutto pensando che da qualche altra parte dello stesso pianeta in cui trascorro la mia esistenza, qualcuno attende un prestito di venticinque dollari per dare impiego a decine di persone, per sfamare i propri bambini tutta la vita, per mettere in piedi uno studio medico e curare migliaia di pazienti o per coltivare ettari di terra.
Ma non è finita! Perché oggi ho proprio il desiderio di sentirmi un vero idiota, ma idiota col pedigree: leggo una testata online a caso e scopro che venerdì scorso la mia stirpe ha bruciato la bellezza di centosessantasei miliardi. Ora, sorvolando sul fatto che i miliardi non è che si bruciano davvero, ma transitano tutti nelle mani dello speculatore di turno, mi viene da pensare che questo bel capitalismo osteggiato a parole un po' da tutti, dai comunisti al Papa, sia una forma di violenza ben più grave di come venga percepita. Questo capitalismo fa più male dell'AIDS o dell'infibulazione, della malaria o della fame. Eppure ce lo teniamo in silenzio tutti, felici e contenti.
E se questo Golia capitalismo potesse essere un giorno sconfitto da Davide microcredito? Certamente saremmo tutti decisamente più ricchi e persino quell'idiota che io sono potrebbe seriamente pensare a un progetto di vita un po' più tangibile. Ma non è questo l'importante. Ciò che veramente conta è che la mattina chiunque, in ogni angolo del mondo, potrebbe alzarsi con il sorriso di un duro lavoro da condurre, sfamare i propri figli e aiutare gli amici.
È morta la solidarietà? Quella costituzionale ma anche quella giusnaturalista? Se così è, ci avviamo anche noi alla stessa fine. E io oggi sono un pizzico felice nella mia idiozia: da giovedì scorso sfoglio spesso Kiva.org, ma non sono ancora riuscito a decidere a chi prestare i miei venticinque dollari.
Ed ho un sogno, avere tanti amici quanti sono i progetti finanziabili. Un prestito a testa e solleveremo il mondo. Ci contiamo?

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domenica 10 gennaio 2010

Il petalo e(') il peto. E lo sguardo dei vecchi.

Dietro ogni lungo silenzio c'è sempre un colmo boccale di eventi bevuto d'un fiato, che non lascia il tempo di prendere il respiro a spiegarsi, a dire buono, a dire porcheria. Dietro il lungo silenzio che ha ammutolito questa pagina ci sono gli eventi, quelli con la e maiuscola e quelli quotidiani. Il duemilanove appena trascorso è stato un anno da cinque post, e ne avrebbe meritati cinque milioni. Dall'ultima mia apparizione sono stato colto da un compleanno, dalla prima parcella incassata, dalla prima discussione in solitaria davanti a un giudice, da una borsa di studio immeritata, e soprattutto dall'ultima volta in cui ho messo dita su questo foglio ho visto materializzarsi piano embrioni di sogni che avevo scelto di congelare, ho visto invecchiare me stesso e le persone a me più care, ho visto tante albe e tanti tramonti, ho vissuto centinaia di quotidiane avventure, silenziose da lasciare un solco, ho visto amici allontanarsi e tuttavia rinsaldare, ho visto amici allontanarsi e basta; insomma, ho visto cose che voi umani potete immaginare benissimo, senza neppure un po' di sforzo.
Mi è sfuggito troppo in questi mesi, ho perso parole pesanti da tramortire, ho perso istanti, sguardi, emozioni. Eppure sono finalmente sfiorato, pur lontanamente, da un alone rassicurante di serenità, di quella serenità incompiuta che non ti dà pace e ti sbatte ogni giorno sulla tua strada a riscoprire il tuo amore, a risvegliare le passioni di cui cominciavi a sentirti prigioniero o semplicemente a scopare qualche briciola di pane da conservare per la cena.
Ho scoperto di amare fino alla commozione il silenzio ventoso dei boschi, quella quiete sottolineata dal fruscio maestoso dell'aria palpabile. Ho scoperto che siamo fatti della stessa sostanza della sostanza, dalla quale è indecifrabile l'agro dal dolce. Ho mangiato un limone dolce, e credo che tra un peto e un petalo la differenza sia in quell'al lontano dalla realtà materiale, mero suono (che poi il petalo non suona, ma il peto sì).
Si è fuso tutto nella mia realtà. Adesso sono due i concetti: il bene e il male. A questi deve aggiungersi un metaconcetto, e cioè l'amore che mi invita a consumare letteralmente il cervello per capire dove finisca uno e dove cominci l'altro, e un paraconcetto, l'amore-specchio che mi permette di interpretare tutto il resto della realtà fusa. Ai lettori tuttavia consiglio di non dare del paraconcetto all'amata/o, ché non suona bene.
Il sincretismo di questa fase della mia vita potrebbe dunque essere rappresentato dal crogiolo. E non esiste crogiolo più capace dello sguardo dei vecchi, che sa brillare nonostante le cataratte, di quello straccio di retina che ha visto milioni di esistenze e miliardi su miliardi di fotogrammi sovraimpressi, sciolti nel nero della memoria. Ecco, domani la mia esistenza ancora da compiersi annegherà nel nero profondo dello sguardo di un vecchio, scolpendo una lapide più che hi-tech su una materia delicata da svanire. Credo che sarà il massimo onore.

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sabato 6 giugno 2009

La vita è una brioche. Quella messinese, quella della granita.

Ne succedono di cose senza che io abbia il tempo di poterne immortalare il profumo, senza che io abbia la possibilità di ricordarmene domani. Andate, sfuggite in perpetuo al controllo della mia non autorità. Ogni giorno è una vita, in questa nuova vita che ha ormai più di un anno, e si spiega pertanto in circa quattrocento vite scivolate per i pendii della mia esistenza e raccolte nel lago incolmabile delle esperienze, degli sprazzi di conoscenza che a volte si imprimono a consacrarsi vivi per l'eterno, a volte lasciano tra le fessure del tempo impercettibili polveri decisamente simili a cenere. E questa vita si divide tra le notizie strane dei telegiornali, che non mancano di donare un tratto surreale al quotidiano. Si divide tra le fatiche del lavoro, o forse dovrei dire di una passione, che un giorno si trascina una soddisfazione velata e il giorno dopo ti pugnala con delusioni insostenibili, di quelle tanto insostenibili che il giorno dopo le dimentichi. Come fanno a trascorrere gli anni, mi chiedo. Come è possibile che i giorni riescano a inanellarsi così veloci a formare catene leggere quanto robuste, a delimitare aree che dovrebbero presumersi inaccessibili, a trainare carichi che segui con la coda dell'occhio. Alla fine è per amore che si vive, ed è l'amore, il legame per antonomasia, l'unica prigione che rende veramente liberi. Forse è per amore che ho il desiderio di alzarmi presto ogni mattina ad iniziare una nuova avventura, a dissetarmi di lei, degli amici, della vita, delle norme, dei criminali. Forse è solo per amore che ogni muscolo collabora a spingermi oltre, e non importa che quell'oltre sia il pavimento che sostiene il letto, la soglia di casa o il nobel. Ogni mattina una brioche si alza, e non sa se la granita nella quale andrà a sublimare la propria esistenza sarà di limone, o la classica caffè con panna. Non sa se sazierà il magistrato o il mendicante, non sa se la mano gentile di un angelo comincerà a gustarla dai fianchi, conservando per ultimo quel sole bruno che sovrasta la mattina del tavolino, non sa se invece sarà il rozzo abitudinario a staccarne prima la coppola, e consumare poi quel ricco cratere che resta. Non sa se resterà dimenticata in una borsa fino a seccare, se costituirà un avanzo della giornata e verrà quindi data in pasto alle galline oppure se verrà brutalmente sbrandellata e gettata ad arricchire un gelato originale. Non sa proprio un cazzo questa brioche, come un cazzo sappiamo noi. Ma ciò che sa, pur senza saperlo, è che una mano, all'alba, ha infuso tutto l'amore di cui era capace per plasmare quel piccolo miracolo di vita. Con cura quella mano ha creato il microcosmo paradisiaco e ne ha unto la superficie come attraversata da un alito di vita. Nel forno qualche minuto, a purificare ciò che di umano era rimasto nel cuore di quell'impasto e poi via, verso la vita. Lanciata a sfidare un destino mutevole e inafferrabile. In pasto alle galline o sul tavolino dei bar di Piazza Cairoli cambia veramente poco, perché l'alba, il forno, la mano erano gli stessi, lo stesso l'amore. L'amore della mattina che ci lancia inconsapevoli come una brioche, ad onorare un'esistenza tanto meravigliosa da fare male.

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lunedì 23 febbraio 2009

Sentire (per)equare.

Mi ha sempre affascinato riflettere sull'unico meccanismo di perequazione antecedente alla morte: il sentimento. Nell'affanno dei miei giorni, nelle corse quotidiane e nelle rapine di esperienza che tento di compiere ogni giorno, uno solo sembra essere il fine dei miei sacrifici, una sola la ragione, e cioè conseguire un piccolo straccio filigranato da custodire per qualche ora nelle pieghe di un portafoglio colmo solo di cartacce. Lavoro per il reddito e per le soddisfazioni. Se è dunque vero che il reddito latita e che le soddisfazioni sono rare, mi accorgo di essere tuttavia in grado di sorridere o di commuovermi, di arrabbiarmi o di disperare. E nel momento in cui sorrido, in cui mi dispero, io non sono diverso dall'avvocato più facoltoso né dal criminale più miserabile. In queste circostanze, nelle circostanze sentimentali, povero è solo colui che non sia in grado di custodire o dispensare sentimento. Io non so se tra qualche mese, tra qualche anno, dovrò delegare un soggetto terzo alla custodia delle mie filigrane ormai incontenibili dalla oggi misera piega di pelle conciata, né so se dovrò delegare un soggetto terzo alla mia sussistenza; ciò che riesco a definire come certo è il fatto che nel momento in cui avrò l'ardore di sorridere o il coraggio di disperare non dovrò tenere conto dell'auto parcheggiata in garage o del giaciglio di cartone ove dovrò riposare la notte. Io starò semplicemente ridendo o disperando, starò compiendo quel pugno di gesti istintivi necessari all'uomo, necessari alla sua sopravvivenza più della Porsche in garage o della coperta di cartone. Sentire, sentimentire, è l'unica testimonianza della propria percezione, e ci rende uguali più di ogni socialismo, più di ogni costrizione, più di ogni legge, di ogni tribunale. Potrà un giorno ciascuno sottrarsi alla legge, sottrarsi al giudizio dei tribunali, disconoscere una cittadinanza, negare una qualsiasi appartenenza, nessuno potrà però fuggire dai propri sentimenti, nessuno potrà ignorare quegli ordini necessariamente impartiti dall'esistenza. E nell'istante di un sorriso, nessuno potrà essere diverso dal più grande, come dal più piccolo.

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sabato 21 febbraio 2009

Scrivere più spesso per leggere di altri.

La meraviglia di questo web 2.0 permette agli afflitti da mille incapacità di trovare sempre qualcuno in grado di supplire alle proprie mancanze, siano esse di tempo, di cultura, di talento... per questo, io che vorrei parlare della crisi da mesi, consapevole di non avere tempo, cultura e talento sufficienti non posso che rimandarvi alle parole amare di un portatore sano di blog, Insy Loan, in attesa che la Libreria Mondadori di Messina faccia pervenire qualche copia del suo esordio letterario... Buon fine settimana, amici miei.

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sabato 14 febbraio 2009

Amo.

Del più grande mistero che ci avvolge non siamo schiavi ma complici inconsapevoli. Perché vane sarebbero le ricerche se non si concedessero a ciò che trovare è necessario. E il fine della ricerca non è che il desiderio inconfessato di ritrovarsi nello sguardo proprio per mezzo di occhi altrui. È la fiera dei limiti questa esistenza, la mia esistenza squattrinata. Vorrei farti un regalo, ed è questa l'unica disponibilità che ho: un pugno di parole che come sabbia al vento, di quello scirocco che investe la Sicilia orientale, possa disperdersi talmente tanto e in maniera così sottile da penetrare ogni tessuto, da imbrunire la pelle e depositarsi in fondo, dove le cellule che formano il corpo si imbattono in quegli strati inafferrabili e fatui che costruiscono il sentimento. Non mi illudo che un branco di lettere possa accedere leggero in quel sublime ingorgo di mutati e immutabili pensieri, ma ci spero. Qualcosa potrebbe pure attraversarti e sedimentare dentro te, e a quel punto basterà comprare una vocale per dare un senso alle mie parole, e per dare un senso pur diverso, perché di te mi fido talmente tanto da lasciarti libera all'interpretazione di quanto piacevolmente mi affligge. È un mistero l'amore, ed è un mistero talmente grande dal lasciarsi generare dal protomistero che è la solitudine, quello stato d'amore contro ignoti pesante da schiacciare, voluminoso da tracimare in un istante. E adesso che sei qui, a governare le mie giornate che non sono semplici come un tempo, io non ho nulla da dirti che si possa dire con le parole, ma ho molto da dire dei sensi che tu sola puoi ascoltare. Sarà un giorno speciale oggi, come tutti quelli che abbiamo imparato a consumare quotidianamente, e ancora più speciale sarà perché, speciale per gli altri, straordinariamente normale sarà per noi. E non ci sarà nessun dono da ricordare, perché ciò che si ricorda domani sarà pronto a svanire per dopodomani. Ci sarà invece qualche istante da assimilare nel cogliere quell'attimo di sostanza che dà la forza di tenere gli occhi aperti ancora un po'. Solo un pugno di parole allora, che si disperdano per essere assimilate a questa eternità. Perché ogni passo che compio è l'elaborato frutto di quella forza che ogni giorno mi dai, che mi sostenta alla sopravvivenza, che mi rende capace di essere debole alle emozioni e forte alle intemperie. Sperando che avrai ancora voglia di vedermi così, incapace all'impermeabilità, decisamente predisposto allo sconquasso emozionale, conscio che solo nella povertà dei giorni potrò compenetrare la ricchezza del nostro eterno...

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giovedì 5 febbraio 2009

D'improvviso.

D' improvviso mi prende il desiderio di lasciare un'altra nota su pagine che sembrano sbiadire nel tempo, come di quella carta termica degli scontrini che lasci tra le pagine dei libri acquistati o nelle tasche della giacca. Quella carta termica che riscopri alla fine del libro o dopo il cambio stagione e non è più carta termica ma strappo candido e liscio, straccio senza tracce, lamina impalpabile del bianco trasparente. E lontane mi sembrano le pagine che ritrovo ormai di rado, come a scomparire in quello che non è un oblio. E l'oblio, si sa, non ricorda, e per questo non dimentico. E d'improvviso a domandarmi dove mi porterà quest'avventura di veicolo a volte rombante di rombi sconquassanti e a volte sconquassata di latta senza valore. E d'improvviso mi premuro a congelare questo istante, sperando domani poter ricordare di quando inesperto e impotente temevo quel domani dietro l'angolo e dall'angolo svoltato sorridere come un idiota. Vorrei dire lo sapevo, l'avrò saputo, saprò di non aver saputo. E fugge questo pomeriggio prima ancora che sia scappato. Tra le pieghe di un'ordinanza ho trovato queste parole cavandole dalla tana con esca di un sapiente non sapere e le ho trascinate qui, su materia che non è carta, tantomeno carta termica, mezzo privo di valore. E qui le lascio a decantare, piego il foglio e lo ripongo in una busta lontano dall'essere intestata. E la sigillo senza leccare, è una lacrima che scala i lembi e tra carta e carta muore per riposare.

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mercoledì 31 dicembre 2008

Da un anno all'altro, sul toro.

È difficile tirare le somme di un anno particolare, cominciato con gli ultimi esami universitari, proseguito con la laurea e immediatamente travolto da un'onda di novità assolutamente irresistibile e tanto alta da far temere, più volte, di non poterle resistere. E sono qui ancora una volta a strappare qualche minuto quantomeno per rinnovare il mio grazie. Perché nel vortice degli eventi, che mi ha strappato da quella che era ormai da anni la mia vita, a rimetterci, più delle scarpe che si logorano e dei nervi che saltano, siete stati voi amici miei, e di questo certo vi devo le mie scuse. Abbiate la forza di comprendermi, di capire che si può anche non bastare a questa vita, almeno per il momento; di capire che se ventiquattro ore non bastano ad essere presente per tutti, ciò non significa che voi non siate presenti tra i miei infiniti pensieri, non più in balle o fardelli come un tempo, ma in fascicoli pesanti. E allora questo ultimo pomeriggio dell'anno è per voi, per tutti quanti avete avuto la pazienza di comprendermi anche nella mia nuova veste, e un po' in fondo vi invidio, perché non so esattamente se ci sono riuscito, io, a comprendermi in questo stato. Questo ultimo pomeriggio dell'anno è per chi mi convive, per chi non ho più la possibilità di incontrare, per chi subisce quotidianamente i miei sbalzi d'umore, per chi con me coltiva una manciata di sogni e spesso, tra lacrime appena accennate, di nascosto, teme di non poterli mai realizzare. È diversa questa realtà, da quella che immaginavo nelle mie favole, è molto, molto diversa. Per questo mi impongo di afferrarla con entusiasmo, è per non svanire che cavalco questo toro imbizzarrito, rischiando tutte le ossa del mio vivere. Sono chiamato a resistere per voi, per me e per chi per me, per chi con me. Me lo auguro diverso il duemilanove che attende sulla soglia, e spero che possa favorirmi anche solo un piccolo assaggio di quei desideri che scalpitano nel mio cuore. Questo dunque il mio obiettivo: riuscire a condividere con tutti voi l'assaggio di speranze che per il momento è unica speranza per me. Grazie per la pazienza, per i sorrisi, per i dubbi che riservate, per tutte le volte che, segretamente o meno, mi avete mandato affanculo. Mi serve un po' di tutto, e da solo non sono in grado di provvedere. Che sia un buon duemilanove per tutti noi. Auguri amici miei.

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sabato 1 novembre 2008

Giustizia come sacrale paradigma di innata ingiustizia. (solo una bozza)

Hanno fatto molto scalpore, in questi giorni, le dichiarazioni del Presidente Emerito Cossiga. Il clamore dei giornali tuttavia non è neppure paragonabile ai disordini che ho deciso di affrontare intimamente nel silenzio delle mie ormai frenetiche giornate. Perché se da una parte ho apprezzato molto i numerosissimi interventi di tanti amici che, come me, tentano di tenere a galla il proprio amato spazio, dall'altra non mi sono mai trovato pienamente d'accordo. Dovessi sintetizzare nel topolino la mole di montagnapensieri che mi hanno accompagnato un po' ovunque in questi giorni, mi esprimerei nella seguente proposta di sproloquio. Partiamo con un considerando: molto di rado concordo con quanto sostiene il picconatore consumato, tuttavia lo considero uomo di grandissima, viva e fervida intelligenza nonostante le ingiurie dei giorni. Ho riflettuto poi su una considerazione di fondo, e cioè sul fatto che tutte le democrazie, pure quelle dalle espositiane pareti di vetro, conoscono servizi segreti e provocatori, come sono stati definiti. Adesso, i nostri palazzi di Governo al vetro preferiscono cemento e tendaggi pesanti, ma questo poco importa; ciò che rileva è che, nella scelta, io preferirei pareti opache con Presidente che mi parla di servizi e provocatori che pareti di vetro annegate nel silenzio. E non credo di dire abominii se mi permetto di ritenere che, nella pratica, non esistono democrazie senza segreti, e per questo, ribadisco, le parole di Cossiga le prendo come informazioni dalle quinte, e non mi scandalizzano. A questo punto la logica del mio pensiero si spinge su due ordini di considerazioni più agre che dolci che meritano di essere, per mere ragioni di opportunità, scisse. Le chiameremo, con originalità, "considerazione A" e "considerazione B". Considerazione A: la maturità di una democrazia non dovrebbe misurarsi dalla eventuale presenza di provocatori tra le folle quanto dalla capacità dei provocati di non cadere nella provocazione. Cerco di dire che il peccato non può essere rinvenuto nella azione quanto nella reazione, perché in fondo la più cocente sconfitta, il suicidio non meditato, il perfetto fallimento del provocatore è la relegazione nel vortice di una parafrasi carnale del porgere l'altra guancia. Premessa alla "considerazione B": so come è fatto un manganello, parlo con cognizione di causa, almeno presumibilmente. Considerazione B: fin quando ci saranno giovani disposti a scendere in piazza, pure con il pretesto di raccogliere una manganellata e rimediare lo squarcio di un'arcata sopracciliare, il nostro Paese sarà salvo, quantomeno fuori dal rischio di coma. L'incoscienza di giovanile immaturità è sacra quando porta a questo genere di sacrifici, e, purché non ne venga irrimediabilmente coinvolta la vita, come purtroppo è accaduto, certamente reversibile. Mi fa molta più paura quell'incoscienza, quel torpore da playstation che somiglia molto a una prematuramente indotta morte cerebrale, e lo dico con profondo rispetto e avanzando scuse nei confronti dei morti cerebrali concreti. Che poi a scagliare la pietra sia un trentenne è parecchio diverso, ma è tutta un'altra storia. Epiprologo: non possono esistere conquiste che non vengano scolpite da blocchi di sofferenze e soprusi, da sconfitte e torture, da dissensi e connaturatamente sacre ingiustizie. Perché è da lì, dalla percezione dell'ingiustizia che nasce l'innata e virtuosa tensione che toglie il sonno ai giusti e li spinge alla ricerca del sacrificio, che è per ciò solo ricerca di giustizia. A ciascuno la propria causa, a ciascuno la propria indignazione, purché la direzione sia sempre quella del sacrificio e quindi della propria giustizia. Perché ogni causa merita un folle disposto a sostenerla, ogni causa che scaturisca da indignazione, dal ribrezzo di uno status quo merita almeno una sana manganellata che possa legittimarne la sacra tensione alla giustizia, come ontologico paradigma di innata e pervasiva ingiustizia, quasi mai motore del giusto ma motore dei giusti sempre.

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domenica 28 settembre 2008

Ancora qui a domandarmi e a far finta di niente*

Io non so le domande e non risponderei, figuriamoci poter credere di avere l'ombra tenue di una qualsiasi risposta. Certo è che dopo essermi osservato osservo e mi rivedo. E sono ancora in grado di gioire di ciò che non può divenire abitudine, in grado di pensare a questi cinque mesi che fuggono ma si immortalano negli attimi con gli amici, con le persone che amo e tra le pagine di uno strano libretto di pratica professionale.
E così, passato da un post al giorno a un post al mese, da vivere senza pretese, impersono la sorte di quanti, come me, rinassero blogger per crescere uomini e trovarsi d'un tratto non più a fare, a sperare o a credere, ma a dover fare per credere di sperare. E in fondo non è poi così male sapere di esser stati per credere di essere oggi aspettando domani. E no, non è un addio questo ma un semplice passare di qui dopo settimane salutate dal pensiero di questa creatura che non ho abbandonato né ho intenzione di abbandonare. E questo riaffacciarmi così all'improvviso, secondo uno schema del tutto casuale, e quindi secondo un preciso non-schema, è un salutare quanti ricordo, quanti probabilmente neanche immaginano che io ricordi, ma non è questo l'importante.
Dopo ogni sproloquio che si rispetti è d'obbligo trattare temi seri, come in fondo fanno per l'ottanta percento dei colleghi blogger degni di tale fama. Io devo fare una segnalazione e invitare tutti alla visione delle avventure di Mimmo e Stellario, corti d'animazione partoriti dal fervescente talento di concittadini che neppure conosco. C'è la realtà lì dentro, e c'è la possibilità di ridere alle spalle di una realtà che insistiamo a prendere troppo sul serio. Perché in fondo, una piccola dose di sano disinteresse potrebbe divenire il modo più intenso di interessarci alla realtà della quale facciamo parte e che troppo spesso tentiamo di relegare là fuori. Ciò non vuol dire che la puzza di ascelle si possa combattere solo col deodorante, ma che almeno una doccia al giorno, noi fortunati ad avere l'acqua tutti i giorni, dovremmo farla senza neppure pensarci.

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domenica 31 agosto 2008

Giovanni Allevi. Taormina, 29 agosto 2008.

Non poteva sapere che tra il chiacchiericcio sordo, quello delle migliaia di persone confuse su spalti antichi, io la stessi ammirando. Non poteva sapere che in fondo quella condizione che esprimeva con gesti delicatamente veloci io un poco la invidiavo. E non osava guardarmi lei, immemore della mia sconosciuta esistenza. Eppure io la ammiravo perso, lontano dal chiacchiericcio sordo che solo sfondo era ormai per me, sfondo piatto, orbo di prospettiva alcuna. E io la ammiravo quella falena, perché non sapeva in fondo che la luna alla quale aspirava altro non fosse che un banale proiettore, come mille altri ce ne saranno sulla terra. A lei non importava, e forse una lampada da qualche watt meglio può scaldare della luna lontana. A lei non importava, le bastava quel volteggio elegantemente frenetico, incurante del fatto che tra migliaia di persone una la stesse ammirando. E poi, poi la luna s'è spenta d'un tratto. E io quella falena l'ho persa di vista per tutta la sera, dimenticata fino a questo momento in cui le note dello stesso pianoforte delicate hanno ricominciato a sfiorare i sensi assopiti di uno che forse alla bellezza ha smesso di dedicare i minuti di un tempo, o che forse alla bellezza ha destinato confini diversi. Poco importa. Non ho capito più nulla, e non sapevo se a incantarmi fosse la bacchetta che trascinava attenti orchestrali come fossero marionette vive o la mano che stringeva la mia o quell'aereo che sorvolava il teatro antico. E da tutto traevo qualcosa, dagli orchestrali, dalla mano, dall'aereo, dalla falena dimenticata, dagli amici e da quelle pietre ammassate a gradoni. E poi è finito tutto sugli spalti, ma qualcosa rimane accesa ancora negli anfratti più rocciosi di quest'anima che una domenica qualsiasi ha ricominciato a scrivere innamorata di Lei e della vita nuova, di Lei e di tutte le vecchiaggini che mi porto dietro le spalle colme di momenti andati e ricordi da rivivere nottetempo. Domani di nuovo la scrivania amorevolmente condivisa, in una settimana che ha cominciato a strapparmi di dosso questa estate facendomi sognare la Suprema Corte e buttandomi tra le braccia di una sorta sbiadita di omicidio colposo. Aspetto ancora domani per ritrovare Lei e la mia scrivania, poter chiedere a un amico se vuole condividere i prossimi gradoni prospicienti il palco, aprire un altro fascicolo e scovarvi dentro gli indizi di un futuro che mi auguro prossimo. E intanto sempre io, diverso ogni giorno ma sempre io, a tornare tra queste righe col sorriso di chi non dimentica mai nulla. Ci risiamo, con settembre sulla soglia e milioni di nuove emozioni appena fuori quella porta che credo di aver trovato il coraggio di varcare.

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mercoledì 16 luglio 2008

Il valore di novantacinque chili di carne.

Perché se c'è una cosa che questo mestiere mi sta donando è un sano pizzico di presunzione. Sono stato fin troppo dimesso da sempre. Oggi basta. E allora non sarò io costretto a inseguire il mercato per poter lucrare qualche spicciolo in più, o per essere un filo più apprezzato. Sarà il mercato a dover inseguire me, perché questa persona, per il semplice fatto di essere persona e forse per qualcosa in più, vale più del mercato e dei suoi valori relativi. E questa persona, per il solo fatto di essere persona e forse qualcosa in più, è fuori dal mercato e perciò non si vende né può essere comprata. A questa persona si potrà, si dovrà chiedere un giorno. E forse questa persona, per il solo fatto di essere persona e forse qualcosa in più, sarà pronta a offrirsi. E per questo non c'è prezzo. O magari non c'è prezzo che tenga.
Non avrò bisogno di scappare, non è lo stile di chi si sente persona e forse qualcosa in più. Al contrario vi aspetto dietro una porta: la mia e la mia sola.

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martedì 8 luglio 2008

Piccole tranquillità di un agitato.

È cambiata la mia vita, veramente tanto. Lo avrete visto tutti dal diverso ritmo con il quale mi concedo a questa pagina. Gli ultimi post sono stati dedicati al mio rapporto inedito con questa nuova realtà, con la professione che cerco, minuto dopo minuto, di imparare. E potrà sembrare strano, ma tutto questo è divenuto il mio principale intere
sse. Non è svanito nulla del mio passato, non sono scomparse tutte quelle velleità e quei salutari vizi che mi accompagnavano, non sono svaniti gli amici, non è sbiadito l'amore, non si è spento il mio desiderio di apprezzare il cielo notturno, l'altre stelle e gli innumerevoli cosmi personali. È solo che sono qui, dietro questa scrivania o tra le aule per giornate intere, a contemplare umane realtà, a condurmi in corridoi che portano al futuro. Per la prima volta nella mia vita mi sento presuntuoso, mi capacito di capacità che mai prima avrei creduto di possedere, è come se mi sentissi, nel mio intimo, quel qualcosa che mi porterà ad essere un professionista vero domani.
La mattina, ogni mattina, quella cravatta è il nodo più sensibile di un legame nuovo, dal quale mai potrei pensare di liberarmi. E fuggo per restare, nel mio personale paese dei balocchi. Sento che ci siete pure voi.

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sabato 24 maggio 2008

Un mese fa, una vita ancora.


Il sentimento, da una parte, è di grosso imbarazzo. Mi spiace non poter essere qui ogni giorno a scrivere qualcosa di nuovo che non sia mortificato dalla stanchezza delle mie ore, e ancor più mi spiace non poter seguire assiduamente tutti gli spazi degli amici conosciuti da quando apienavoce ha visto la luce. E sarebbe una mancanza di rispetto mettere da parte questo angolo che mi ha traghettato alla luce ben più di due anni fa. E se per anni mi sono rifugiato qui per scampare al terrore di una vita nei confronti della quale non mi sentivo propriamente all'altezza, oggi che le paure sono ridimensionate, e che l'entusiasmo lascia poco spazio a sentimenti preoccupanti, scopro che non sono più in grado di parlare apienavoce ogni giorno, e che è al mio nuovo quotidiano che devo dare la precedenza. E per fortuna nessuno di voi manca al mio quotidiano.
È un momento delicato. Giusto un mese fa la laurea, poi qualche gio
rno di terrore e infine l'inizio della pratica. Nuove conoscenze, nuovissime esperienze e un rapporto nuovo con tante emozioni. Comprendere che dovrebbe esistere una difesa tecnica e allo stesso tempo capire che, di fatto, non può esistere nessuna difesa tecnica se non per molti azzeccagarbugli. Affrontare un nuovo concetto di compassione, tanto pesante dall'essere riuscito a farmi provare pena per spietati criminali. Capire che non esiste verità alcuna da ricercare ma solo fatti da valutare. Capire che ogni uomo è parte di un insieme indissolubile di forze opponenti, che la vittima è la persona più prossima al carnefice, che le guardie amano i ladri più delle rispettive madri. Io non so come si possa essere tanto coglioni dal commuoversi ogni sera di una realtà, di una professione che è più stile di vita che altro, di un'arte che sottopaga i propri discepoli. Mi rimane questo sabato ser
a per ricordare lampi delle esperienze di due settimane, del primo compenso, un vassoio di paste di mandorla, dell'aria che si respira entrando in un Tribunale con un ruolo ben preciso. Ogni giorno mi avvicino a comprendere che la mia vocazione è quella del diritto degli uomini, il penale, che si allontana dalle cose e disprezza le volontà per diventare azzardo o emozione, rischio o avventura, tragedia o coraggio. Voglio vivere così per adesso. E quanto dimentico ogni giorno nel sonno che mi coglie improvviso, quanti anniversari, celebrazioni, commemorazioni mi sfuggono nel caos di questi giorni. Tant'è. Per adesso sono io, ma non sono mio.
E a tutti voi ancora un grazie, per i click a vuoto che avete dispensato in questi giorni, e uno scusate se non sono in grado di scrivere nulla che non sia uno sbiadito riflesso della mia nuova realtà. Tornerò forse un giorno come mi desiderate. Nonostante tutto per voi sono stato, e per voi resto.

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domenica 11 maggio 2008

Ei fu siccome nuovo.

Lo avrete notato, sono poco presente in questi giorni e credo che sarà così ancora a lungo. Ho iniziato una nuova incredibile esperienza. Sono entrato, pur con tutte le riserve che caratterizzano la precarietà del praticante, nel mondo della professione. È stato un impatto formidabile e intenso, e poco tempo è rimasto per le abitudini della vita che conducevo. Riesco a seguire ancora i blog degli amici ma è poco il tempo per commentare. Ho un po' di cartoline in sospeso ma vi prometto che le invierò presto. Per il resto, tutto nuovo. Tocco la mia felicità ogni giorno, sento finalmente di avere delle responsabilità, ho un sorriso idiota stampato sulla faccia da una settimana. Comincio a conoscere le aule di tribunale, con tutte le sciagure che ne impregnano l'aria. Non posso parlarvi dei casi che mi sono affidati, per ovvi motivi, ma posso dire che il mio dominusha ragione quando afferma che in questo mestiere spesso la realtà supera la fantasia. Ho conosciuto le aule-mercato delle udienze civili, ho conosciuto le manette dei detenuti e decine di dignità rapite. Ho provato pena per spietati criminali e disappunto nei confronti di un PM. Non esistono parametri su cui posso fare affidamento. Vivo solo di emozioni continue e inaspettate.
Ho compreso che un disegno è già tracciato sotto i miei piedi, e vi invito a non rinunciare mai. Quel cinque maggio di napoleonica memoria la mia vita è cominciata di nuovo. Non sono più lo stanco e insicuro studente di poche settimane fa. Sono di nuovo morbosamente curioso, sono instancabile, sono di nuovo generoso. Di nuovo con la vita tra le mani, di nuovo tremendamente coraggioso.
I miei post sono più rari, ma di voi non mi dimentico. Accompagnate le mie ore dietro la scrivania, i miei tragitti tra le aule e lo studio. Buona vita anche a voi.

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mercoledì 7 maggio 2008

Io sono.

Mentre mi accingo a vivere il mio terzo giorno da praticante sento il bisogno di comunicarvi che non solo ci sono, ma soprattutto sono. E oltre a essere impegnato almeno dodici ore al giorno, credo di essere tra le persone più felici al mondo, in questo momento. Cinque anni di sacrifici scacciati da poche ore di approccio a una professione più che incantevole. Speriamo di durare.

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venerdì 2 maggio 2008

Vuoti a rendere, Max Gazzè.

Prendi forza
Datti fiato
Questo è il tempo di decidere

Vuoi davvero
Esistere
O soltanto sopravvivere

Quante cose non ho mai fatto
Quante volte ho rimandato a un'altra volta
Quanti giorni non posso ricordare
Sottovuoti e vuoti a rendere

Non cercare
Di capire
Se è fatica o è paura

Senza rabbia
Né ossessione
Senza impegno ed ambizione
Col coraggio di sbagliare

Con le mani aperte come il mare
E la voglia di imparare
Questa volta non c'è un'altra volta
Vuoi venire insieme a me

Cammino a piedi nudi e sento l'umido
Sperando di scoprirmi uomo sulla Terra
All'improvviso un vento gonfia l'onda
Si infrange su di me
(mi fa rinascere)
mi lascio esistere

spero di esistere
ogni attimo di questa vita immensa mi spalanca
spero di resistere
oltre il bisogno di essere una storia o una leggenda
e di resistere
esperienze
sensazioni
fanno il tempo sopportabile

prendi forza
datti fiato
per esistere e resistere

senza ruoli e senza costruzioni
al di là del dover essere migliore
e anche se non mi ricorderò di un giorno
io sarò sicuro che ho vissuto

cammino ancora a piedi nudi e sono io
sperando di essere sempre uomo sulla Terra
e da lontano vedo ancora l'onda
si infrange su di me
(mi fa rinascere)
mi lascio esistere

spero di esistere
ogni attimo di questa vita immensa mi spalanca
spero di esistere
oltre il bisogno di essere una storia o una leggenda

spero di esistere
di aver dentro sempre tutta questa vita immensa
e di resistere
vivendo la mia storia anche se non sarà leggenda
ma sempre insieme a te.

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domenica 27 aprile 2008

Prima di una dedica che tarda a partorirsi.

Non si può tacere oltre ogni limite, non si può tacere oltre questo limite. Con l'animo di chi non ha ancora realizzato cosa effettivamente sia capitato devo esprimermi, a tre giorni dalla fine. Due vite ho vissuto in questi cinque anni: quella dello studente più o meno capace, con le sue ansie e i suoi esami, e quella della persona che ha capito, che ha trovato, che ha deciso di convivere con una meravigliosa realtà fatta di amici e sentimenti veri. La mia prima realtà si è conclusa giovedì scorso, e si è conclusa oltre ogni aspettativa con una discussione tanto regolare da sembrare molto, molto lontana dal mio modo di essere e di sapere. La mia seconda realtà invece mi ricorda sempre più insistentemente che una fine potrebbe non esserci, e che comunque non si trova da questa parte dell'orizzonte. Questa occasione irripetibile ha confermato quello che è sempre stato il mio piccolo teorema: una laurea, come ogni percorso qualunque, non è fatta di sacrifici personali, di ore di impegno, di notti insonni. Una laurea è un sistema di sentimenti, è una comunione di intenti, è gioire dei traguardi altrui e notare la sofferenza altrui dei fallimenti propri. E così a laurearmi non sono stato io ma siamo stati noi. Sono stati quelli che hanno finito prima di me e quelli che siederanno davanti alla cattedra tra poche settimane. Non è il caso che mi impegni a capire in che percentuale io possa definirmi proprietario esclusivo di questo tanto sudato pezzo di carta, ma sono certo che difficilmente riuscirei ad estrarre una doppia cifra da certi improbabili calcoli. Sono sereno e felice adesso, e la laurea non è il principale motivo di questo nuovo stato d'animo. Devo ancora ringraziare, ringraziare ancora e ancora tutte quelle persone che hanno creduto in me e che mi hanno dato la forza di essere di nuovo così nuovamente nuovo. Non farò nomi, vi basti il mio pensiero che spero potrà da voi essere riconosciuto come immenso attestato di affetto. E così da oggi parte la nuova missione, simile alla precedente ma tanto diversa: chiedere grazie ancora una volta, di tutto e per tutto. Fate che io possa esserne capace, e intanto godetevi la vostra nuova laurea. E ricordatemi che ancora devo scrivere quella lunghissima dedica che non ho voluto inserire a perdersi nelle pagine serrate di una tesi...

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venerdì 25 aprile 2008

Non basterebbe un post.

Ma dovrò comunque prepararne uno degno del momento. Intanto sappiate che la mia vita da studente universitario è finita. Una piccola anticipazione l'ha data Gianpaolo in un commento qualche post più giù. Io devo ancora trovare il coraggio di parlare diffusamente. 
Intanto a tutti i miei amici lettori e blogger segnalo che ho preparato per loro una piccola sorpresa. Per riceverla in busta chiusa sentitevi liberi, se vi fidate, di inviarmi via mail (l'indirizzo è sulla barra di destra) un vostro recapito di posta tradizionale!

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mercoledì 23 aprile 2008

Aspettando un'alba che tarderà ad arrivare.

Questa è l'ultima notte della mia vita da studente universitario. Vivo uno stato d'animo che meriterebbe un'enciclopedia di post. E invece mi rifugio in un silenzio tutto particolare, sperando che tutto possa andare per il verso giusto. 
Grazie a tutti di tutto.

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lunedì 21 aprile 2008

Mi porto avanti.

Ho avuto paura pure ad annunciarlo. Ma i tempi sono maturi, e giovedì mi troverò alla cattedra a discutere delle pavide ombre di un futuro prossimo. Mi laureo, insomma. Si chiude un altro ciclo, si ripropongono quelle emozioni che hanno contraddistinto i primi post apparsi su questa pagina più di due anni fa. E si ripropongono mutate, come mutato mi ripropongo io. Di questi cinque anni passati nelle aule di sublime polvere che contraddistinguono la facoltà messinese di giurisprudenza mi porto dietro un po' tutto. Mi porto dietro cocenti sconfitte e delusioni, le prime della mia esistenza, mi porto dietro un bagaglio infinito di cultura di ogni genere che vorrei essere in grado di padroneggiare, mi porto dietro cinque anni di vita, mi porto dietro i colleghi che sono diventati amici, anche quelli a cui con le mie innumerevoli incertezze ho dato fastidio, mi porto dietro tanto amore, mi porto dietro le cartacce altrui sotto i banchi dell'aula due, le finestre rotte e il proiettore finto dell'aula uno, gli schienali similpelle che si staccano dalle sedie dell'aula cinque, la vista della madonnina del porto dell'aula quattro e la scuola di atene dell'aula tre, il cesso senza lampadina e il lavandino senza asciugamano, una valanga di professori che non stimo e quattro o cinque che mi hanno insegnato tutto con pochi gesti, con poche espressioni. Mi porto dietro la signorina che per cinque anni ha cercato all'ingresso della cancellata di propinarmi il volantino che prometteva di sostenere con facilità gli esami di procedura, mi porto dietro l'aria che si respira nei corridoi del dipartimento di scienze giurispubblicistiche, le pareti di Foro italiano che tappezzano la sala lettura, l'aria fredda e distante del dipartimento di diritto privato e teoria del diritto, o come si chiama, mi porto dietro quelle poche centinaia di metri che separano la facoltà dall'orto botanico, le migliaia di occhiate lanciate al Tribunale affacciandomi dalle finestre del primo piano, le serate più belle della mia vita, quelle passate con i colleghi a promettersi di non parlare di università e infrangere puntualmente la promessa, tanti esami, tutti quelli necessari e molti di più.
Tanto ancora mi porto dietro, ma ci sarà tempo per raccontare, ci sarà tempo per ringraziare. Eterno debitore, oggi e probabilmente per sempre. Devo troppo a tanti, ma mi organizzo.

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martedì 15 aprile 2008

Lo so che vi aspettavate un commento.

domenica 13 aprile 2008

Votare. Votare. Votare.

È un momento delicato. Affluenza alle urne tanto bassa da risultare più che imbarazzante (siamo lontani dal dieci percento nei seggi che presidio). Per scardinare un po' di quest'ansia mi lascio ad un suggerimento. Guardate gli otto episodi di tolleranza Zoro. È la parte più interessante e divertente di tutta la campagna elettorale che si è spenta ieri senza rimpianti. Speriamo di poter sorridere pure domani sera. Votare. Votare. Votare.

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venerdì 11 aprile 2008

Non è che si possa fare, si deve fare.

Il sapore sordo delle ultime mattine, anche oggi. La paura del precipizio, l'ansia di sollievi che si intravedono lontani e raggiungibili solo a fatica. E al clima da partita di scacchi che si appropria di questi giorni della mia vita si aggiungono gli scampoli di una campagna elettorale che si avvia al silenzio delle riflessioni che non saranno. Qualcuno tenta di riabilitare la mafia e gli eroi mafiosi. E questa profondissima quiete, questo infinito silenzio che accompagna certe aberranti esternazioni mi imbarazza, mi inquieta. È il silenzio delle menti questo, la desolazione delle intelligenze, un nulla intellettuale che non lascia ben sperare. Si vocifera che Lombardo vincerà le elezioni regionali, e le vincerà in maniera schiacciante, forte dell'eredità di suffragi devoluta da Cuffaro. Io non ci voglio credere. Lasciatemi questo week-end per sperare, lasciatemi questo week-end per spingere, contro ogni legge e senza alcun tipo di ritegno, le persone dentro la cabina a permettere che il volto della Sicilia cambi davvero con Anna Finocchiaro. Non è il momento dell'astensione questo, non è il momento dell'indifferenza, non è il momento della pace, non è il momento del silenzio. Questo è solo il momento di impugnare la matita copiativa e dichiarare la propria appartenenza. Questo è solo il momento di brandire la matita copiativa contro tutte le mafie, quelle della lupara e quelle dei colletti bianchi. Ancora un week-end, ancora uno. Teniamoci la voglia di sperare e di credere, la voglia di alzare la testa e il desiderio, il desiderio possibile, di vedere, nonostante tutto, orizzonti non solo diversi, ma anche nuovi. 
Sono pessimista con l'intelligenza, ma ottimista per la volontà. Antonio Gramsci.

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giovedì 3 aprile 2008

Strani fenomeni.

Ho sempre detestato i dizionari di sinonimi e contrari. Mi sono sempre arrangiato con parafrasi più o meno fantasiose scaturenti dalla terribile paura di poter risultare ripetitivo. Purtroppo certi espedienti non possono essere sempre utilizzati nella redazione di una tesi di laurea, tantopiù che si tratta di una tesi giuridica. Per questo motivo ho dovuto aprire virtualmente un modernissimo dizionario dei sinonimi e contrari versione telematica. Bene. Cercavo un sinonimo di fenomeno, tra le possibilità il dizionario suggerisce cosa. Ora sì che potrò redigere un testo di grande livello... Finisce così la mia esperienza minutale con i dizionari dei sinonimi e contrari. Niente, era giusto per farvi sapere.

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