domenica 31 dicembre 2006

Sta sfuggendo anche questo, impalpabile. E mi lascia ricordi tra le dita, frammenti che credevo di aver dimenticato. Perchè ogni 31 dicembre, al pomeriggio, c'è un istante in cui non servi a nessuno, in quell'istante chili di ricordi bussano alla tua porta e ti costringono sempre sulla stessa poltrona, sempre nella stessa posizione. La seconda fine anno di questo blog, nuovi propositi, voglia di ricominciare ad essere come dovrei, come sarei. Ricordo in particolare uno tra i tanti sms di auguri dell'anno scorso, ricordo l'istante in cui è arrivato. Quell'innocuo messaggino è stato veramente di buon auspicio: il 2006 è passato umiliando il suo predecessore, e sono invecchiato più nuovo. Non sono in grado di realizzare ancora, non sono in grado di formulare i miei auguri, credo sia l'ombra di questo 2006 che vuole trattenermi e trattenersi, così mi rimando a domani, buon ultimo giorno dell'anno...
Non posso tenere per me la giornata di ieri. Non posso, perchè saranno questi i ricordi indelebili di cinque anni di fatiche universitarie. E non importa cosa diventeremo, non vi sarà differenza tra chi riveste promettente il ruolo di futura classe dirigente e chi più modestamente si troverà a vendere la luppina al campo. Ieri eravamo solo noi. Duecento km in una giornata, tutti ben spesi. Non mi resta che ringraziare pubblicamente quanti mi hanno ospitato, e ringraziarli davvero. Sono stati attimi irripetibili, atmosfere rilassanti, tanto calore. Istanti in cui realizzi che non potrai mai fallire nulla, perchè sei stato in grado di costruire la tua serenità vera. Un grazie a tutti, in ordine sessualmente alfabetico a Mariarosaria, Salvina, Teresa, Tindara, Valeria, Luigi e all famiglie (di Tere e Mari) che ci hanno ospitato. Bel modo di chiudere un anno meraviglioso. Non posso, infine, che dedicare la giornata di ieri ad Antonio, che pur non potendo esserci ha saputo dimostrare, come sempre, cosa voglia dire essere animi di un certo livello...
A presto per le foto!

venerdì 29 dicembre 2006

Per una volta, forse per la prima volta, non voglio scrivere di me e del mio mondo, ma indirizzarvi verso una pagina interessante, lontana dal mio essere, invidiata forse ogni giorno. Esorcizzo così il coraggio che non ho, il coraggio che forse non abbiamo, e trovo una forza non mia, che possa aiutarmi a superare i momenti più incerti, più difficili. Ciò che la vita è non possiamo definire, ci ho provato tante volte, consapevole di un sicuro insuccesso. Ma non si può negare che un senso esiste, così come esiste una sorpresa dietro ogni angolo...

giovedì 28 dicembre 2006

Incastrate tra le pieghe della vita, anime esili, sottili, in corpi ingombranti, in carni che premono. Condizione ricorrente per chi ama pensare, e pensare solo per il gusto di pensare. Per chi ama pensare e non gode della serenità desiderata. Finiamo per scegliere sempre l'unica pietanza che esiste solo nel menù, perchè "scusate, è finitoproprio ieri". Così è la vita, pronta a realizzare tutti i tuoi desideri al settantacinque percento, perchè altrimenti saresti sazio e non ne avresti un secondo, ennesimo, nuovo pronto a sopraggiungere. Che palle però quel venticinque che non puoi toccare con mano, è tutto bello ma... c'è sempre un "ma" da collezionare, da accumulare, da dimenticare. Solo stanchezza e vuoto oggi, solo voglia di riabbracciare le lenzuola...

martedì 26 dicembre 2006

Tornato. Amantea, stazione di Amantea, la attraverso di corsa mentre il sole sta tramontando. Il sole sembra spegnersi mentre lentamente sfiora e si immerge nella tranquillità di un mare sereno. Mi sembra strano non vedere l'acqua ribollire a quel contatto, i vapori sollevarsi impetuosi. Stromboli si lascia osservare, quasi appannato, ed è curioso osservare che proprio questo pare più lontano del sole. Il sole si è spento, inghiottito dalle onde impalpabili, Stromboli forse è rimasto lì, appannato, disinteressato, quasi sprezzante. Domani rivedrà in fronte quello stesso sole, nel pomeriggio lo rivedrà scendere di nuovo e accostarsi a lui. Forse domani avranno qualcosa da dire, e non sembreranno così distanti, come oggi.
Mortali, il sole non possiamo sfiorarlo, non possiamo raccontare ad esso le nostre giornate immobili. Mortali, non possiamo neanche guardarlo negli occhi. Mortali, ci armiamo di arroganza, e il suo calore non ci basta, e forse è questa l'unica fortuna dell'uomo, l'unica occasione in cui dispensare arroganza è atto di generosità: se neanche il calore del sole ci basta è perchè il calore di quanti ci amano, di quanti amiamo, serve a noi più della luce...

lunedì 25 dicembre 2006

Questo era il post di ieri, una connessione non troppo accomodante mi ha impedito di pubblicarlo tempestivamente...

In serate come questa vorrei rientrare a casa e trovare il post già scritto, perchè filtrare con parole mie le emozioni che mi hanno seguito e che ho tentato di seguire, comporta una triste distorsione di ciò che vorrebbe essere il mio pensiero in questi momenti. Vorrei che la gioia delle persone che amo non avesse fine, vorrei invece che finissero subito tutte le mie innumerevoli distrazioni. Sono queste ultime a rapire la mia fortuna, a trascinarmi in una dimensione che non è la mia, ad allontanarmi dalla realtà meravigliosa che sto vivendo. Adesso confido solo in questo cuscino e in chi mi sta accanto, certo di poter chiamare aiuto nel momento del bisogno, certo di non essere solo e di non esserlo mai stato. E' già Natale, e lo sto vivendo così a fondo che mi sembra inopportuno pure farne citazione. Sono felice, e non mi importa sapere se questa è la prima o l'ennesima volta, sono felice e questo deve bastarmi per questa notte...

giovedì 21 dicembre 2006

Alla fine si è spento, NON è stato spento. Io non credo all'eutanasia, perchè la morte ci rende tutti della stessa pasta, ed è sempre della stessa pasta. Io non credo che possa esistere il diritto alla morte, credo che nessuno possa stabilire quando sia giunto il momento di porre fine ad una vita, sia essa di sofferenze o la più bella vita possibile. Allo stesso modo non credo che esista un diritto a tenere la vita allacciata ad un corpo ucciso dal fantasma di un'immortalità meccanica. Nessuno può imporre nè suggerire la morte, neppure colui il quale la desideri. Ma nessuno può imporre la vita artificiale. Nessuno può regalare la morte, ma nessuno può imporre una vita che non esiste. Attaccare una spina può essere motivo di speranza, può essere il miracolo del nostro progresso. Staccarla non è una rapina, è restituire un corpo, e un'anima, al proprio destino. E'cinico, è crudo, è triste: ma raccogliere un televisore dall'immondizia con la speranza di resuscitarlo semplicemente sostituendo un transistor, non significa essere obbligati a non consegnare di nuovo quel televisore all'immondizia, a tenerlo in funzione fino al prossimo guasto, a tenerlo acceso anche se trasmette ormai solo numerose linee grigie e fruscii inascoltabili. E il gesto del raccogliere una banconota falsa da cinquanta euro che volteggia all'angolo di un marciapiede non può celare l'obbligo di spenderla comunque...

mercoledì 20 dicembre 2006

Il silenzio dell'una di notte lo puoi comprendere solo all'una di notte. E nel silenzio senti gridare qualcosa, avverti quelle urla violente, il fiato sulle orecchie e i timpani sofferenti. Non tutti siamo prime scelte, ma anche il pesce di ieri viene venduto, e con le castagne bacate si può fare sempre farina.

domenica 17 dicembre 2006

Se avessi un euro lo lancerei dal balcone; se avessi un chiodo lo lancerei dal balcone; se avessi un mandarino lo lancerei dal balcone; se avessi una matita la lancerei dal balcone. Se avessi me stesso mi terrei stretto.

P.S. Prima di chiedermi il significato di queste parole interpellate il Prof Giulio M. Chiodi sul significato del suo saggio "L'equità". Buonanotte...

sabato 16 dicembre 2006

Posso contare tutte le mie vertebre, chino sulla scrivania a compatire la lampada. Sono stati giorni di silenzio un po' per i libri che mi impegnano, un po' per le angosce ricorrenti e le bellezze che temporeggiano a salvare il mondo. Ce ne sono stati eventi da sottolineare: i successi da esame, le fatiche altrui, i seimila accessi. E invece mi ritrovo qui, quasi a commiserare me stesso, quasi a rimproverarmi il desiderio di riposare. Mi circonda il brusio delle ventuno e trenta, mi avvolgono i fantasmi di un passato ridicolo e di un futuro incerto per antonomasia. Torno a contare le righe che mi separano dalla agognata ultima pagina, conscio di stare per lanciarmi in un circolo vizioso. E penso che è dicembre, anche se non sembra. Non fa freddo e le lucine ai balconi non riscaldano, sembra tutto così finto...


Dicembre secondo Guccini, da Canzone dei dodici mesi

E mi addormento come in un letargo, Dicembre, alle tue porte,
lungo i tuoi giorni con la mente spargo tristi semi di morte, tristi semi di morte...
Uomini e cose lasciano per terra esili ombre pigre,
ma nei tuoi giorni dai profeti detti nasce Cristo la tigre, nasce Cristo la tigre...

giovedì 14 dicembre 2006

Non abbiamo sempre ragione, non siamo sempre noi, non pensiamo sempre il giusto. Non siamo liberi e non liberiamo. Il nostro non essere noi è una sciagura, non è colmato dall'essere noi degli altri. Perchè anche gli altri non sono loro, ma il non essere loro non li porta ad essere noi. E quindi ciò che siamo non è in noi e non è negli altri. Ma non si perde, piuttosto si disperde, si diffonde. Questo il felice destino di ogni gesto: svanisce, si disperde e si diffonde, si effonde. Ed è buio quando pensi all'ultima carezza ricevuta, è svanita in gran parte e allo stesso tempo ti impregna di qualche molecola. L'ultima carezza ricevuta che sai non essere ultima. E se lo fosse? Se lo fosse ce n'è sempre stata un'ultima che ha saputo tenerti sospeso. Con questo spirito raccolgo la mia giornata e la annodo alle lenzuola, con lo spirito di chi è stato una carezza, di chi ha vissuto quell'istante leggero della mano che sfiora. Onnipotente quella mano seppur non divina. Per questo riesco a credere che il mondo sia di chi sa lasciarsi accarezzare. A terra le brutture di questo giorno, dimenticate come un paio di jeans travolti dalla passione di due anime. Ed è questo: oggi puoi gioire di avere al tuo fianco una persona come te, capace di tirarti fuori da quei jeans, capace di lasciarli a sterilizzare sul freddo antibiotico di un pavimento in cotto. Saranno raccolti solo domani, ripuliti. Adesso pensi solo alle lenzuola...


Francesco Guccini, Quello che non

La vedi nel cielo quell' alta pressione, la senti una strana stagione?
Ma a notte la nebbia ti dice d' un fiato che il dio dell' inverno è arrivato.
Lo senti un aereo che porta lontano? Lo senti quel suono di un piano,
di un Mozart stonato che prova e riprova, ma il senso del vero non trova?

Lo senti il perchè di cortili bagnati, di auto a morire nei prati,
la pallida linea di vecchie ferite, di lettere ormai non spedite?
Lo vedi il rumore di favole spente? Lo sai che non siamo più niente?
Non siamo un aereo né un piano stonato, stagione, cortile od un prato...

Conosci l' odore di strade deserte che portano a vecchie scoperte,
e a nafta, telai, ciminiere corrose, a periferie misteriose,
e a rotaie implacabili per nessun dove, a letti, a brandine, ad alcove?
Lo sai che colore han le nuvole basse e i sedili di un' ex terza classe?

L' angoscia che dà una pianura infinita? Hai voglia di me e della vita,
di un giorno qualunque, di una sponda brulla? Lo sai che non siamo più nulla?
Non siamo una strada né malinconia, un treno o una periferia,
non siamo scoperta né sponda sfiorita, non siamo né un giorno né vita...

Non siamo la polvere di un angolo tetro, né un sasso tirato in un vetro,
lo schiocco del sole in un campo di grano, non siamo, non siamo, non siamo...
Si fa a strisce il cielo e quell' alta pressione è un film di seconda visione,
è l' urlo di sempre che dice pian piano:
"Non siamo, non siamo, non siamo..."

mercoledì 13 dicembre 2006

Senza neanche accorgermene ho superato i quattrocento post. Lo so, dovrei cominciare a smettere di sottolineare ogni sorta di traguardo numerico, in fondo tra un trecentonovantanove e un quattrocentotre non cambia assolutamente nulla. Tutta colpa del sistema decimale e dei suoi zeri che rimbalzano decina dopo decina, centinaio dopo centinaio. Ciò che però mi rende sereno dei miei quattrocento post è il loro essere 1+1...+1=400, ciascuno senza pretese, ciascuno senza l'importanza del precedente. In un mondo dove si pubblicano romanzi via blog, dove si snocciolano teorie scientifiche innovative, nuove relatività, io resto con i miei post, uno dopo l'altro, uno più uno, senza nessuna pretesa se non quella originaria, poter dire "grazie...", ogni giorno, prima di ogni notte, un giorno per l'altro. Così, di nuovo, grazie di questi quattrocento e spicci post, grazie della vostra lettura, grazie dei vostri pensieri.

P.S. Noto con piacere che da qualche giorno a questa parte ricevo una visita quotidiana dal Belgio e una dalla Germania (è bello "lavorare" a un blog modesto anche per questo, si possono con piacere interpretare le statistiche senza distrazioni dovute a quantità di visite esponenziali...). Mi chiedevo semplicemente: o voi che leggete questa pagina da così lontano, mi conoscete o esiste davvero qualcuno che legge senza aver avuto il modestissimo piacere di avermi conosciuto di persona? Grazie...

martedì 12 dicembre 2006

Facciamo così: domani la cecità ti rapisce. Cosa padroneggerai di più al buio, le scale di casa o le tasche dei pantaloni?

domenica 10 dicembre 2006

Non chiamiamola provocazione, solo voglia di riflettere a dita battenti: riflettevo sull'opportunità di impiegare una piccola percentuale dei risparmi, più o meno equivalente ad una quota-regalo, in "operadibenefilantropicabeneficenza". Pensavo all'ente più meritevole del mio ercoleico sacrificio, e si sa, questo è il periodo di Telethon, della ricerca, dell'AIRC, dell'AIL et similia. Il mio pensiero è diventato improvvisamente cattivo. Premetto che mai mi sognerei di denigrare l'attività di questi enti, mai mi sognerei di dubitare della loro importanza ed efficienza, mai mi sognerei di criticare una sola persona che destini a questi enti dal centesimo al centinaio di migliaia di euro. Oggi però credo che la mia misera quota-regalo andrà all'UNICEF per un piccolo, semplice motivo: nulla di più importante della ricerca e dei fondi per la ricerca, ma prima di destinare i "miei" soldi alla ricerca per il tumore al colon che mi sono procurato ingurgitando quintali di cibo da fastfood, prima di trovare la soluzione al cancro ai polmoni che mi sono procurato fumando quaranta sigarette al giorno, prima di lottare contro la leucemia che mi assedia dopo anni di esposizione alle radiazioni utili ai miei ritrovati tecnologici, preferisco dare la possibilità a tanti corpi denutriti di avere la stessa possibilità di ammalarsi di cancro al colon piuttosto che morire di fame. Potremmo mangiare sano, respirare sano... non siamo intelligenti abbastanza. Cerchiamo così di riporre la nostra coscienza al sicuro gettando il nostro euro a sconfiggere un cancro che potremmo nel novante percento dei casi evitare. Qualche bustina di sali reidratanti allora, quelle firmate UNICEF, ma non a testa alta, piuttosto con la vergogna che dovrebbe attanagliare la consapevolezza di essere causa anch'io di quella denutrizione, della distrazione di fondi che toglie il cibo alle bocche affamate per contrastare il cancro del nostro benessere.

venerdì 8 dicembre 2006

Rivedevo le immagini delle proteste a Mirafiori, e non ho potuto fare a meno di pensare a questo brano:

A.Bandelli, La ballata della FIAT
Signor padrone, questa volta per te andrà di certo male, siamo stanchi di aspettare che tu ci faccia ammazzare. Noi si continua a lavorare e i sindacati vengono a dire che bisogna ragionare di lottare non si parla più.

Signor padrone, ci siam svegliati e questa volta si dà battaglia, e questa volta come lottare lo decidiamo soltanto noi Vedi il crumiro che se la squaglia, senti il silenzio nelle officine. forse domani solo il rumore della mitraglia tu sentirai.

Signor padrone, questa volta per te andrà di certo male, d’ora in poi se vuoi trattare dovrai accorgerti che non si può. E questa volta non ci compri con le cinque lire dell’aumento, se offri dieci vogliamo cento, se offri cento mille noi vogliam.

Signor padrone, nomi ci hai fregati con le invenzioni, coi delegati, i tuoi progetti sono sfumati e noi si lotta contro di te. E le qualiflche, ie categorie noi le vogliamo tutte abolite, le divisioni sono finite: alla catena siam tutti uguali.

Signor padrone, questa volta noi a lottare s’è imparato, a Mirafiori s’è dimostrato e in tutta Italia si dimostrerà. E quando siamo scesi in piazza tu ti aspettavi un funerale, ma è andata proprio male per chi voleva farci addormentar.

Ne abbiamo visti davvero tanti di manganelli e scudi romani, però s’è visto anche tante mani che a cercar pietre cominciano a andar. Tutta Torino proletaria alla violenza della questura risponde ora, senza paura: la lotta dura bisogna far.

E no ai burocrati ed ai padroni Cosa vogliamo? Vogliamo tutto. Lotta continua a Mirafiori e il comunismo trionferà.

E no ai burocrati ed ai padroni! Cosa vogliamo? Vogliamo tutto! Lotta continua in fabbrica e fuori e il comunismo trionferà.


Siamo nel 1971, contro il lavoratore, ieri come oggi, sindacati, Stato e padroni. Eppure, "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro."
Cosa voglio dire con questo? Francamente non lo so neanch'io, o forse lo so, e la soluzione è talmente triste che mi illudo di non sapere...
Si affacciano indiscrete alle finestre sulla strada tutte quelle innumerevoli lucine natalizie. Sporgono e mi scorgono a pensare. Dicembre inconsueto, cammino per le strade e ancora la bocca non emana fumosi vapori, spire appannate. Ognuno di noi è solo quando la luce si spegne, e ognuno di noi sente vicino le persone più care proprio quando è solo. Io la immagino così questa affollata catena di solitudini: nel buio mi aggrappo al pensiero dei miei tre quattro anelli cari, e così questi nel loro buio a me si stringono. E' il più sincero modo per stare in compagnia questo stare soli. Ed ecco, di nuovo silenzio invernale in questa mezzanotte, di nuovo finestre chiuse e nessuna brezza, solo questo anomalo, lieve, freddo. Che dio benedica questa notte, che benedica i miei tre, quattro anelli, che benedica la strada e chi la calpesta tuttaltro che distratto...

martedì 5 dicembre 2006

Io ammiro profondamente molti uomini e soprattutto molte donne, ammiro profondamente le piante grasse che sanno già cosa fare, ammiro profondamente la pioggia e il suo modo tutto particolare di lavare ciò che investe, ammiro profondamente le opere di artigianato e i manufatti degli artisti, ammiro profondamente il vino fatto in casa. Ammiro profondamente colazioni, pranzi e cene in compagnia, ammiro profondamente chi imbocca e chi aspetta di essere imboccato, ammiro profondamente tutti i profumi, tutti purchè siano appena percettibili. Ammiro profondamente le parole e le persone che sanno dispensarne di qualità, ammiro profondamente gli agrumi perchè non sono frutti veri e propri, perchè fuggono alle classificazioni, le sabbie sottilissime trasportate dallo scirocco, le scarpe slacciate ai piedi di una ragazza e le cucine pulite io le ammiro profondamente, così come ammiro le lenti, i vetri e gli specchi deformati o imperfetti. Ammiro profondamente il legno e l'odore che emana, ammiro profondamente certe voci e il silenzio, le passeggiate in montagna e i rumori sconosciuti. Ammiro profondamente le lenzuola robuste e l'impatto della pelle sul letto freddo d'inverno. Ammiro profondamente alcuni sguardi e chi è capace di guardare, ammiro profondamente molti tra voi come ammiro violare con sadica precisione i sigilli apposti ad un pacco consegnato dal corriere. Ammiro profondamente la conoscenza che non posso permettermi e le abilità che non mi è dato possedere. Ammiro profondamente essere rintracciato e parlare e chi è capace di parlare chiaramente solo a gesti. Ammiro profondamente la strada e i suoi perchè, i percorsi e le mete. Ammiro profondamente chi pensa e gli istanti che mi fanno pensare... ma è proprio in quel momento che smetto di ammirare...

lunedì 4 dicembre 2006

Ho avuto modo di riflettere sulla natura di queste righe. Ho riflettuto a lungo e alla fine mi sono chiesto se valesse la pena continuare ad impiegare Byte in questo modo. Non posso essere ipocrita e perciò confesso: non ho pensato un istante a chiuderla qui questa pagina. Io ho la necessità di continuare. Ho avuto una paura indescrivibile quando uno di voi ha detto "non lo sento più mio come prima", è stata dura, e sarebbe stata sufficiente anche a determinare un freddo full-stop. E' apparso impercettibilmente questo pensiero, si è estinto immediatamente. Perchè pure a me capita ogni tanto di non sentire più "mie", o forse dovrei dire "vostre", queste pagine, ma non tutti i tempi sono tempi fertili, non tutte le emozioni trovano il coraggio sufficiente a mostrarsi qui, nude in prima pagina. E allora devo solo chiedere scusa se di questo blog resta solo un contenitore, chiedo scusa se il contenuto si è deteriorato, ha lasciato il passo alla degenerazione. Sento però che non è il momento di smettere, anzitutto perchè è qui che scaglio la mia malattia, poi perchè credo di meritare una seconda possibilità. Seconda possibilità che suona un po' come ultimo desiderio, ma poco importa. Certo è che migliaia su migliaia di caratteri da quel lontano ventuno ottobre sino a oggi sarebbero veramente inesistenze sprecate se non mi conducessero pure oggi a credere che sia sempre possibile rialzarsi. Cerco di rialzarmi allora, cercando di ripagare la sincerità di un amico. Allo stesso tempo non posso fare a meno di sottolineare ciò che mi lega alle cinquemilaottocento visite e agli autori di queste: ogni parola vorrebbe essere una infinita manifestazione di affetto, non riesco tutti i giorni a farla apparire così, di questo posso solo scusarmi. Intanto provo a rialzarmi, mi rialzo...
Io vi do un suggerimento, certo che solo pochi di voi saranno disposti a coglierlo. Ascoltate la versione di Joe Henderson dello standard "Black Narcissus". Io la mia vita la vorrei così...

venerdì 1 dicembre 2006

Ripreso e riposato, finite pure le noie al ginocchio che hanno afflitto la mia passeggiata lungotevere. Ed è l'ora, consueta, delle riflessioni. Tre sono gli accadimenti che mi hanno portato ad una riflessione non superficiale, tre sciocchezze che si sono distinte per la loro profondità:
a) sono entrato a Termini dormendo, ed è la prima volta, per la prima volta non ho osservato affascinato il mutare degli scenari da Anagni in poi, non ho ammirato i resti dell'antico acquedotto, semplicemente mi sono svegliato tra l'incessante vorticare di centinaia di persone tra i binari di Termini. E' un primo indizio questo, di come il mio rapporto con la Città eterna stia lentamente e inesorabilmente mutando;
b) per la prima volta sono riuscito senza alcuna difficoltà a ritirare dagli appositi spazi una copia di tutti i quotidiani gratuiti distribuiti in metropolitana. Daccordo con voi se affermate che questa è un'idiozia capitale. A mia discolpa faccio presente però che mai, e sottolineo mai, pur essendo arrivato a Roma negli stessi orari, pur avendo preso le stesse linee della metro, MAI ero riuscito a sfogliare una copia, dico una, delle tre testate di stampa gratuita distribuite in centinaia di migliaia di copie nella metro. Questa volta, senza spiegarmi perchè, non solo mi sono appropriato di tutte e tre le testate, ma persino della quarta, pubblicata da pochissimi giorni al pomeriggio dal sole24ore. Assieme ad "a)", questo "b)" mi conduce ad una soluzione che trarrò solo da
c) Non ho mai tirato fuori dalla sua custodia la macchina fotografica, non ho scattato una foto, addirittura la macchina è rimasta nello zaino presso il mio alloggio quando uscivo. Eppure sapevo di dover visitare posti mai visti prima. Mi sono affidato alla macchina sfocata e di infima qualità che correda il telefonino, e questo mezzo comincia a diventare per me un cattura frammenti intriso di romanticismo. Nell'imperfezione di uno scatto, nella pessima qualità di un'immagine si intravedono le sensazioni, nello sbilanciamento dei colori risalta solo l'essenziale.
a+b+c=io+Roma. Non sono un cittadino, ma non sono neanche più un turista. Sono io e il mio rapporto con la Capitale del mondo, sempre meno sconosciuta e sempre più grande, più inafferrabile. Penetrano il cuore le stesse immagini ogni volta diverse, lo stile, l'aria respirata, la gente nella metro, l'ipod pro capite, i sanpietrini strappati al suolo ove si procede ad una riparazione, il tram di piazza del popolo, retrò quanto efficiente e tanto, tanto altro ancora.
Non una cronaca questa volta dunquema solo qualche pensiero e tanta voglia di ritornare. Di più questa volta ho avuto la possibilità di un pranzo frugale con parte della famiglia e una presenza costante ormai non più inedita. Di meno il consueto desiderato incontro con Bat, capita. Anche questa volta non è mancato il sostegno di molti di voi, gli sms scambiati da strade che ti guardano quasi disturbate se tocchi il telefonino, strade che reclamano tutta la tua attenzione. Ancora una volta incontri bizzarri sul treno e sui mezzi pubblici. Ne parleremo presto, di persona. Ancora una volta "grazie", e ancora una volta il desiderio di condividere più a fondo certe "modeste" avventure...


La nebbia che si dirada parecchio dopo l'alba. Atmosfera cupa, a me sconosciuta di una città che mi era sempre apparsa tersa, limpida. Ripenso alle parole di Bat...


Lungotevere all'imbrunire... lo tengo per me.


Il tre percento della folla accalcata sul piazzale dell'Hotel Ergife in attesa del concorso...