sabato 6 giugno 2009

La vita è una brioche. Quella messinese, quella della granita.

Ne succedono di cose senza che io abbia il tempo di poterne immortalare il profumo, senza che io abbia la possibilità di ricordarmene domani. Andate, sfuggite in perpetuo al controllo della mia non autorità. Ogni giorno è una vita, in questa nuova vita che ha ormai più di un anno, e si spiega pertanto in circa quattrocento vite scivolate per i pendii della mia esistenza e raccolte nel lago incolmabile delle esperienze, degli sprazzi di conoscenza che a volte si imprimono a consacrarsi vivi per l'eterno, a volte lasciano tra le fessure del tempo impercettibili polveri decisamente simili a cenere. E questa vita si divide tra le notizie strane dei telegiornali, che non mancano di donare un tratto surreale al quotidiano. Si divide tra le fatiche del lavoro, o forse dovrei dire di una passione, che un giorno si trascina una soddisfazione velata e il giorno dopo ti pugnala con delusioni insostenibili, di quelle tanto insostenibili che il giorno dopo le dimentichi. Come fanno a trascorrere gli anni, mi chiedo. Come è possibile che i giorni riescano a inanellarsi così veloci a formare catene leggere quanto robuste, a delimitare aree che dovrebbero presumersi inaccessibili, a trainare carichi che segui con la coda dell'occhio. Alla fine è per amore che si vive, ed è l'amore, il legame per antonomasia, l'unica prigione che rende veramente liberi. Forse è per amore che ho il desiderio di alzarmi presto ogni mattina ad iniziare una nuova avventura, a dissetarmi di lei, degli amici, della vita, delle norme, dei criminali. Forse è solo per amore che ogni muscolo collabora a spingermi oltre, e non importa che quell'oltre sia il pavimento che sostiene il letto, la soglia di casa o il nobel. Ogni mattina una brioche si alza, e non sa se la granita nella quale andrà a sublimare la propria esistenza sarà di limone, o la classica caffè con panna. Non sa se sazierà il magistrato o il mendicante, non sa se la mano gentile di un angelo comincerà a gustarla dai fianchi, conservando per ultimo quel sole bruno che sovrasta la mattina del tavolino, non sa se invece sarà il rozzo abitudinario a staccarne prima la coppola, e consumare poi quel ricco cratere che resta. Non sa se resterà dimenticata in una borsa fino a seccare, se costituirà un avanzo della giornata e verrà quindi data in pasto alle galline oppure se verrà brutalmente sbrandellata e gettata ad arricchire un gelato originale. Non sa proprio un cazzo questa brioche, come un cazzo sappiamo noi. Ma ciò che sa, pur senza saperlo, è che una mano, all'alba, ha infuso tutto l'amore di cui era capace per plasmare quel piccolo miracolo di vita. Con cura quella mano ha creato il microcosmo paradisiaco e ne ha unto la superficie come attraversata da un alito di vita. Nel forno qualche minuto, a purificare ciò che di umano era rimasto nel cuore di quell'impasto e poi via, verso la vita. Lanciata a sfidare un destino mutevole e inafferrabile. In pasto alle galline o sul tavolino dei bar di Piazza Cairoli cambia veramente poco, perché l'alba, il forno, la mano erano gli stessi, lo stesso l'amore. L'amore della mattina che ci lancia inconsapevoli come una brioche, ad onorare un'esistenza tanto meravigliosa da fare male.

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