lunedì 23 febbraio 2009

Sentire (per)equare.

Mi ha sempre affascinato riflettere sull'unico meccanismo di perequazione antecedente alla morte: il sentimento. Nell'affanno dei miei giorni, nelle corse quotidiane e nelle rapine di esperienza che tento di compiere ogni giorno, uno solo sembra essere il fine dei miei sacrifici, una sola la ragione, e cioè conseguire un piccolo straccio filigranato da custodire per qualche ora nelle pieghe di un portafoglio colmo solo di cartacce. Lavoro per il reddito e per le soddisfazioni. Se è dunque vero che il reddito latita e che le soddisfazioni sono rare, mi accorgo di essere tuttavia in grado di sorridere o di commuovermi, di arrabbiarmi o di disperare. E nel momento in cui sorrido, in cui mi dispero, io non sono diverso dall'avvocato più facoltoso né dal criminale più miserabile. In queste circostanze, nelle circostanze sentimentali, povero è solo colui che non sia in grado di custodire o dispensare sentimento. Io non so se tra qualche mese, tra qualche anno, dovrò delegare un soggetto terzo alla custodia delle mie filigrane ormai incontenibili dalla oggi misera piega di pelle conciata, né so se dovrò delegare un soggetto terzo alla mia sussistenza; ciò che riesco a definire come certo è il fatto che nel momento in cui avrò l'ardore di sorridere o il coraggio di disperare non dovrò tenere conto dell'auto parcheggiata in garage o del giaciglio di cartone ove dovrò riposare la notte. Io starò semplicemente ridendo o disperando, starò compiendo quel pugno di gesti istintivi necessari all'uomo, necessari alla sua sopravvivenza più della Porsche in garage o della coperta di cartone. Sentire, sentimentire, è l'unica testimonianza della propria percezione, e ci rende uguali più di ogni socialismo, più di ogni costrizione, più di ogni legge, di ogni tribunale. Potrà un giorno ciascuno sottrarsi alla legge, sottrarsi al giudizio dei tribunali, disconoscere una cittadinanza, negare una qualsiasi appartenenza, nessuno potrà però fuggire dai propri sentimenti, nessuno potrà ignorare quegli ordini necessariamente impartiti dall'esistenza. E nell'istante di un sorriso, nessuno potrà essere diverso dal più grande, come dal più piccolo.

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sabato 21 febbraio 2009

Scrivere più spesso per leggere di altri.

La meraviglia di questo web 2.0 permette agli afflitti da mille incapacità di trovare sempre qualcuno in grado di supplire alle proprie mancanze, siano esse di tempo, di cultura, di talento... per questo, io che vorrei parlare della crisi da mesi, consapevole di non avere tempo, cultura e talento sufficienti non posso che rimandarvi alle parole amare di un portatore sano di blog, Insy Loan, in attesa che la Libreria Mondadori di Messina faccia pervenire qualche copia del suo esordio letterario... Buon fine settimana, amici miei.

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sabato 14 febbraio 2009

Amo.

Del più grande mistero che ci avvolge non siamo schiavi ma complici inconsapevoli. Perché vane sarebbero le ricerche se non si concedessero a ciò che trovare è necessario. E il fine della ricerca non è che il desiderio inconfessato di ritrovarsi nello sguardo proprio per mezzo di occhi altrui. È la fiera dei limiti questa esistenza, la mia esistenza squattrinata. Vorrei farti un regalo, ed è questa l'unica disponibilità che ho: un pugno di parole che come sabbia al vento, di quello scirocco che investe la Sicilia orientale, possa disperdersi talmente tanto e in maniera così sottile da penetrare ogni tessuto, da imbrunire la pelle e depositarsi in fondo, dove le cellule che formano il corpo si imbattono in quegli strati inafferrabili e fatui che costruiscono il sentimento. Non mi illudo che un branco di lettere possa accedere leggero in quel sublime ingorgo di mutati e immutabili pensieri, ma ci spero. Qualcosa potrebbe pure attraversarti e sedimentare dentro te, e a quel punto basterà comprare una vocale per dare un senso alle mie parole, e per dare un senso pur diverso, perché di te mi fido talmente tanto da lasciarti libera all'interpretazione di quanto piacevolmente mi affligge. È un mistero l'amore, ed è un mistero talmente grande dal lasciarsi generare dal protomistero che è la solitudine, quello stato d'amore contro ignoti pesante da schiacciare, voluminoso da tracimare in un istante. E adesso che sei qui, a governare le mie giornate che non sono semplici come un tempo, io non ho nulla da dirti che si possa dire con le parole, ma ho molto da dire dei sensi che tu sola puoi ascoltare. Sarà un giorno speciale oggi, come tutti quelli che abbiamo imparato a consumare quotidianamente, e ancora più speciale sarà perché, speciale per gli altri, straordinariamente normale sarà per noi. E non ci sarà nessun dono da ricordare, perché ciò che si ricorda domani sarà pronto a svanire per dopodomani. Ci sarà invece qualche istante da assimilare nel cogliere quell'attimo di sostanza che dà la forza di tenere gli occhi aperti ancora un po'. Solo un pugno di parole allora, che si disperdano per essere assimilate a questa eternità. Perché ogni passo che compio è l'elaborato frutto di quella forza che ogni giorno mi dai, che mi sostenta alla sopravvivenza, che mi rende capace di essere debole alle emozioni e forte alle intemperie. Sperando che avrai ancora voglia di vedermi così, incapace all'impermeabilità, decisamente predisposto allo sconquasso emozionale, conscio che solo nella povertà dei giorni potrò compenetrare la ricchezza del nostro eterno...

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giovedì 5 febbraio 2009

D'improvviso.

D' improvviso mi prende il desiderio di lasciare un'altra nota su pagine che sembrano sbiadire nel tempo, come di quella carta termica degli scontrini che lasci tra le pagine dei libri acquistati o nelle tasche della giacca. Quella carta termica che riscopri alla fine del libro o dopo il cambio stagione e non è più carta termica ma strappo candido e liscio, straccio senza tracce, lamina impalpabile del bianco trasparente. E lontane mi sembrano le pagine che ritrovo ormai di rado, come a scomparire in quello che non è un oblio. E l'oblio, si sa, non ricorda, e per questo non dimentico. E d'improvviso a domandarmi dove mi porterà quest'avventura di veicolo a volte rombante di rombi sconquassanti e a volte sconquassata di latta senza valore. E d'improvviso mi premuro a congelare questo istante, sperando domani poter ricordare di quando inesperto e impotente temevo quel domani dietro l'angolo e dall'angolo svoltato sorridere come un idiota. Vorrei dire lo sapevo, l'avrò saputo, saprò di non aver saputo. E fugge questo pomeriggio prima ancora che sia scappato. Tra le pieghe di un'ordinanza ho trovato queste parole cavandole dalla tana con esca di un sapiente non sapere e le ho trascinate qui, su materia che non è carta, tantomeno carta termica, mezzo privo di valore. E qui le lascio a decantare, piego il foglio e lo ripongo in una busta lontano dall'essere intestata. E la sigillo senza leccare, è una lacrima che scala i lembi e tra carta e carta muore per riposare.

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